ovvero: Cloverfield incontra Pirandello
Mi pare cosa buona e giusta iniziare proprio con un kusoge, ovvero uno shitty game, ovvero il classico jeu de merde.
Ma no, vabbè, non è poi così orrendo, o meglio, sì, è senza
dubbio un prodotto di serie C, ma un che di positivo ce l’ha. Certo, i valori
di produzione sono al minimo sindacale, il gameplay è quasi inesistente e in
generale il tutto sta a malapena in piedi... ma in fondo l’ottimismo è il
profumo della vita, e a ben guardare forse non è tutto stallatico quello che ci si ritrova tra le mani.
In verità suddetto gioco è rimasto a prendere la polvere per qualche anno assieme agli altri colleghi per Ps2. Non ricordo nemmeno quando l'ho preso esattamente, né perché non ci ho giocato subito...
Quello che probabilmente mi ha attratto all'epoca è stata quella sua aria da equivalente videoludico di un film horror di serie z, con le sue scarse pretese e un bel po' di fattore splatter. Del gameplay probabilmente non sapevo niente (chissà dove mai ne ho sentito parlare, non credo che all'epoca vagassi così tanto su internet come adesso...), ma d'altronde sicuramente non ci ho speso più di 10 o 15 euro su eBay.
Immagino che ben pochi al di fuori della sua cerchia di fan sfegatati lo sappiano (non che io faccia parte del suddetto gruppo), ma l’idea alla base di questo gioco viene da monsieur Suda 51 ed è infatti sviluppato da Grasshopper. L’idea che costituisce le fondamenta di Michigan in effetti sarebbe il punto forte di questo misconosciuto titolo, e risulta essere il motivo per il quale non è completamente da cestinare.
Salace satira sul giornalismo moderno o gioco di serie z ? |
In un classico scenario horrorifico, con una città deserta
immersa nella nebbia e grotteschi mostri che sbucano dal nulla (mancano i
crateri per le strade e diventa Silent Hill), vestiamo infatti dei panni
inusuali, ovvero quelli di un cameraman di un’emittente televisiva al seguito
di una reporter. Questo innanzitutto implica alcune cose: avendo le mani
perennemente occupate per tutta la durata del gioco, l’anonimo protagonista non
è in grado di fare assolutamente nulla da solo, manco aprire una porta,
figuriamoci difendersi.
Da qui viene spontanea una precisazione: noto che su
Internet viene etichettato come survival horror, ma ad essere pignoli di
survival c’è molto poco, si può morire giusto in un paio di punti per tutta la
durata del gioco. Giocandolo, invece, mi è parso più naturale l'accostamento ad un altro genere, quello delle care avventure punta e clicca. Già, perchè di azione vera e propria ce n'è ben poca, e la
cosa principale da fare, oltre a seguire la reporter di turno e riprenderla
mentre parla o dialoga, è segnalarle gli oggetti con cui interagire, sia una
chiave, un interruttore, o semplicemente la maniglia di una porta, puntando la
telecamera e premendo X in corrispondenza degli oggetti con cui si vuole
interagire.
Questa sostanziale mancanza di libertà è già come prima cosa
un elemento straniante; si può girare liberamente per i d’altronde piccoli ambienti
di ciascun livello, ma da soli non si combina nulla, e se la reporter non si è
posizionata sua sponte al fianco di una porta non possiamo aprircela da soli.
Tutto ciò mette il gioco in una dimensione piuttosto
guidata, ma allo stesso tempo risulta essere un’esperienza radicalmente
diversa, in quanto non si controlla il vero protagonista, ma si è alle
“dipendenze” degli NPC.
Darle una mano o riprendere mentre precipita? Ah, i dilemmi morali |
È la reporter in definitiva ad avere l’ultima parola, a
decidere dove andare, a instaurare dialoghi e proseguire con la (risicata)
trama, ed è sempre lei ad agire nelle sequenze di “azione” armata di una
pistola. In questi ultimi casi il nostro compito è quello di puntare al nemico
con la nostra fida telecamera e premere X per “taggarlo” in modo che la
reporter gli spari.
Il tutto si traduce come un interessante (beh, dipende dai
punti di vista) meccanica di azione per interposta persona: in ultima analisi
la reporter risponde ai nostri comandi, ma non si tratta del rapporto diretto
che sussiste con un normale protagonista, qui abbiamo il giocatore che
controlla il cameraman che a sua volta “controlla” la reporter.
Wow, si va
quasi nel meta-videoludico alla Kojima... meglio chiudere qui la parentesi.
la-li-lu-le-lo |
Se il fatto di essere alle dipendenze della tizia col
microfono può creare qualche frustrazione, a dirla tutta una valvola di sfogo c’è.
In quasi tutti i livelli è possibile “uccidere” la reporter semplicemente
evitando di avvertirla del pericolo, non taggandole i nemici a cui sparare o
non essendo pronti a spingerla via in caso di attacco. La peculiarità del gioco
è che non si viene puniti in modo convenzionale per tutto questo, anzi, invece
di ricominciare dal precedente salvataggio/checkpoint, il gioco invece ti proietta in avanti!
Se una delle reporter, sia per aver prestato poca attenzione
alla situazione oppure per sadismo da parte del giocatore, tira le cuoia, il
gioco procede con una nuova ragazza, spesso facendo saltare alcuni livelli in modo da approdare al punto in cui si incontra la nuova compagna.
Se per qualche motivo uno avrebbe voglia di finire il gioco
più in fretta possibile (e per cosa poi? Per vedere due secondi di finale? Per
potersi vantare dicendo “ho finito Michigan: Report from hell”?) basterebbe
uccidere il più in fretta possibile ognuna delle reporter, giungendo così ai
titoli di coda in 30-40 minuti.
Nonostante una premessa tutto sommato interessante, come
detto in apertura però, il gioco lascia parecchio a desiderare. La grafica è
scarna, i dialoghi sono perlopiù ridicoli (e anche doppiati male), le
animazioni sono inguardabili anche per l’epoca, la trama è banale.
Diciamocelo, questo è un gioco che punta tutto sulla
possibilità di agire entro una sorta di macabro voyeurismo, mettendo davanti al
giocatore una scelta morale precisa: se c’è qualcuno in pericolo di vita si
preferirà salvarlo oppure soddisfare il lato “malato” della nostra curiosità
riprendendo invece la scena in cui il malcapitato (o più spesso la malcapitata)
viene sbranata/o sotto i nostri occhi?
Uno dei rarissimi casi |
Altra peculiarità del gameplay è quella dell'accumulazione del punteggio, diviso
in 3 distinte categorie: immoralità (filmando le scene cruente invece di aiutare
il prossimo), tensione (semplicemente inquadrando gli altri personaggi che
parlano) ed erotismo (ovviamente, puntando già di suo ad essere una trashata
made in Japan al gioco non poteva mancare la classica vena “hentai”, messo tra
virgolette perché in fondo si tratta solamente di un qualcosa all’acqua di rose).
Alla fine del gioco l’idea sarebbe quella di avere tre finali diversi a seconda
della maggioranza dei punti, peccato però che in fin dei conti si tratti solo di leggerissime
variazioni, giusto 4 o 5 secondi, e parliamo di un finale comunque già insulso e sconclusionato in ogni caso.
Volete raggiungere il finale "da pervertito"? Continuate a fare così per tutto il gioco |
Per quanto anche questo potesse essere uno spunto
interessante, si rivela in definitiva un’altra vaccata vista la disastrosa
esecuzione. I punti tensione si accumulano come niente, basta seguire la storia
e non voltarsi dall’altra parte quando succede qualcosa, ma altrettanto non si
può dire per gli altri. Di momenti “erotici” non c’è praticamente niente per
tutto il gioco (in un punto si può entrare furtivamente nel bagno mentre una
tizia si fa la doccia, ma per il resto
vuoto assoluto), quindi la “soluzione” sarebbe quella di stare costantemente ad
inquadrare il posteriore della reporter o, se ha una gonna, abbassarsi e
tentare di sbirciarle sotto... . Magari può risultare divertente per qualche
secondo, certo, ma passare tutto il gioco così? *facepalm*
Per quanto riguarda i punti immorali infine, certo è
possibile ottenerli nei casi in cui qualcuno è in pericolo di vita, ma anche in
questo caso non sono poi molti e l’alternativa prevista dai programmatori è
quella di usare l’unico pulsante di “azione”, ovvero quello corrispondente ad
una patetica ed inutile spinta (o calcio, boh, non che dall’animazione si
riesca ovviamente a capire qualcosa). È possibile spingere la reporter o il
tecnico del suono e farli finire a terra, e fin qui ha senso, ma il gioco ti
ricompensa con punti immorali anche se prendi a calci il muro, quindi il modo migliore per ottenere il finale "immorale" è passare tutto il tempo a sbattere contro le pareti. Davvero.
Però in effetti, come ci ricorda Bando Ciancia, anche i muri hanno dei sentimenti |
In conclusione: Michigan senza dubbio non entrerà
nell’olimpo videoludico, nemmeno corrompendo il portinaio, e il videogiocatore
medio non lo dovrebbe toccare nemmeno con un bastone
Detto questo, si tratta certamente di un’esperienza
particolare, e siccome il sottoscritto è in cerca proprio di questo genere di
cose (da affiancare ovviamente a qualche gioco più decente), non mi pento del
tempo passato con Michigan (che d’altronde non è stato nemmeno tanto). Quella tipica aria da gioco jappo ultra-budget c'è tutta, il che ha un suo fascino (forse "perverso" come Michigan stesso, ma sempre un suo fascino).
Certo, è forte la sensazione di trovarsi di fronte ad un’occasione
sprecata molto malamente: l’idea era buona e l’atmosfera (cosa per me molto
importante) ci sarebbe tutta (condita da qualche momento di tensione), peccato
che non venga sfruttata.
Qualche anno fa il caro Suda, probabilmente conscio della
qualità finale del prodotto su cui in parte ci ha messo la faccia, ha espresso
il desiderio di fare prima o poi un remake o un seguito. Personalmente dubito
che lo vedremo mai, ma sarei molto contento di sbagliarmi. Ambientato in un bel
open world invece che in minuscoli livelli, con un gameplay un po’ più dinamico
e diversi aggiustamenti al sistema morale e del punteggio verrebbe fuori
qualcosa di mio gran gradimento.
Ah sì, che c’entra Pirandello? Beh, mentre giocavo mi è
tornata in mente una lettura di qualche anno fa, i Quaderni di Serafino Gubbio,
operatore, sia per il mestiere del protagonista, sia per la scena finale in cui
(spoiler spoiler) egli meccanicamente continua a riprendere mentre uno degli
attori uccide veramente l’altra per poi finire entrambi sbranati da una tigre.
Certo, ora non mi metto di sicuro a discutere sul
significato del romanzo e sulla visione pirandelliana dell’esistenza (specie in
un post su Michigan: Report from Hell), ma una bella citazione letteraria
buttata in mezzo fa sempre una buona impressione (ed essendo lo scrivente un neo dottore magistrale in Lettere magari gli fa credere che gli ultimi 5 anni sono almeno serviti a qualcosa).
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